Siamo chiusi in un contenitore, un barattolo.
Come accade al caffè macinato, al sale e allo zucchero.
Bachi in trappola. È suonata la campanella ma per noi non c’è ricreazione. Allora quella risuona e rimbomba.
Come si esce da una scatola? E da un barattolo? E dal timore?
Quanto conosciamo realmente casa nostra?
Abbiamo il tempo per scrutarla a fondo.
Ebbene, contiamo: una cucina piccola, grande, stretta, spaziosa, luminosa, buia ,colorata, moderna, vecchia con carta da parati, senza carta da parati, con doppio lavabo, con un solo lavabo e per di più arrugginito, un fuoco, due fuochi, quattro fuochi, a gas, a induzione.
Quante sedie ci sono in casa, quante ne servono realmente. Ora due sono più che sufficienti.
Un divano, una poltrona, due poltrone, quattro poltrone, un tavolino, un tavolo da pranzo, un tavolo da pranzo che all’occorrenza è anche scrivania.
Superfluo?
Da più di un mese sul mio tavolo da pranzo vive un vaso con un bouquet di fiori che ora sono secchi.
Resistono alla forza di gravità, strenuamente attaccati allo stelo mica si lasciano cadere.
Dall’aspetto sembra stiano vivendo un momento deprimente, tuttavia resistono senza far troppe storie. Sono ancora lì, dopotutto. Non sono finiti in un sacchetto di plastica biodegradabile a far compagnia ai gusci di uova, fondi di caffè, involucri d’aglio e lische di pesce.
Niente male, no?
Hanno mantenuto lo stesso colorito di quando erano in vita, si sono solo un pochino arricciati.
Sembrano di carta. Carta pesta. La carta che usavamo per fare i lavoretti da infanti.
Imperturbabili e stretti stretti come in un abbraccio che, si sa, non possono darsi.
Non possono uscire, non possono scambiarsi un’effusione, non profumano più.
Resistono.