Una domenica mattina

Una domenica mattina ero seduta accanto a mia madre su un autobus, vicino alle porte posteriori. Il posto dinanzi al mio era occupato da una bambina con due trecce biondo cenere.
L’autista del bus non mancava una buca così tutti i passeggeri saltellavano sul loro posto più spesso del dovuto, del sopportabile direi. Io mi concentravo su quei fili di grano intrecciati in rigoroso ordine e chiudendo gli occhi cercavo di riconoscerne l’odore nell’aria viziata che c’era lì su.
Pregavo perché non si voltasse mai. Mia madre è sempre stata una conservatrice, tutta circoli religiosi e pesche di beneficenza. Sedeva composta e guardava soltanto davanti a se altrimenti le veniva il mal di pancia ma io dico che era la sua nota impostazione morale ad imporglielo.
“Guarda avanti, stavolta tocca a te riconoscere la fermata”.
“Mamma, scendiamo ora e non voltiamoci mai fino a casa”.
Dicono abbia un animo sensibile, che tutto mi sconvolge e non capisco certe differenze. Dicono… mia madre, dice. A chiunque le faccia notare che sono strana.
Se ora chiudo gli occhi ancora sento quell’aroma di camomilla risalire le mie narici e riportare alla mente l’ordine di quel campo di grano.
Sono un uomo intrappolato nel corpo di una donna minuta e timida col nasino all’insù.
Madre, fa’ la mia conoscenza.

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